Ogni giorno i consumatori ricevono numerose notizie sulle qualità salutistiche (talvolta quasi miracolistiche) di molti prodotti alimentari. Ci sono claim di tutti i tipi in qualsiasi reparto di un supermercato, ma tutti questi messaggi finiscono spesso per disorientare il consumatore nell’acquisto degli alimenti che possono contribuire ad un reale miglioramento della propria salute.
È estremamente difficile, se non impossibile, stabilire se un alimento faccia bene o male in termini assoluti. Servono studi di almeno 5 anni, o addirittura di 10 anni, a seconda che si prenda a riferimento un campione significativo di 40.000 o 200.000 individui per avere dati pregnanti. Studi di questo tipo sono attività lunghe e onerose, ma sono necessarie per avere un’informazione il più possibile precisa.
Per avere delle risposte veritiere, vengono effettuate delle analisi statistiche mirate, in questo caso attraverso la famosa “analisi multivariata”, che permette di distinguere l’apporto di ciascun alimento (pane, pasta, frutta, verdura, carne, pesce ecc.) rispetto ad altri parametri come, ad esempio, lo stile di vita (fumo, alcol, sport…).
L’alimentazione integrale può prevenire delle patologie?
Nella relazione tra cibo e salute, l’esempio più eclatante è forse quello legato all’obesità.
Infatti, se da un lato avere 40-50 chili di grasso in più espone ad un rischio di morte paragonabile ad un fumatore, l’obesità di 10-20 chili in più è davvero poca cosa rispetto alla speranza di vita. Se vi è una diminuzione, questa non è dovuta tanto al “sovrappeso”, quanto ai fattori che lo determinano quali, ad esempio, cibo spazzatura e sedentarietà.
Se però la stessa persona, pur avendo 20 chili di grasso in più, li ha acquisti consumando prodotti integrali, frutta, verdura, pesce non fritto ecc., può presentare un’aspettativa di vita addirittura superiore alla media! Peraltro, con questo tipo di alimentazione non si dovrebbe nemmeno tendere ad ingrassare, se non quei 5-10 chili “normali” nella terza età.
La scoperta delle qualità salutistiche dei prodotti integrali è dovuta alla metodologia di studio sopra riportata (l’analisi multivariata in campo alimentare) e non, come spesso si crede, alle virtù dei “prodotti naturali”. La naturalità di un prodotto non ne determina il fatto di essere di per sé un ottimo prodotto. Solo per fare 2 esempi, moltissimi vegetali sono veleni potenti, mentre lo zucchero della frutta, il fruttosio, è il peggiore degli zuccheri alimentari, in quanto va ad influire negativamente su diverse malattie. Va detto però che, nel suo complesso, la frutta risulta essere un ottimo alimento.
Quindi, quale può essere il contributo dei prodotti integrali, a parità di consumo, degli altri alimenti?
All’aumentare dell’utilizzo dell’integrale, aumenta la longevità e diminuisce il rischio di contrarre pressoché tutte le malattie cronico-degenerative occidentali come cancro, infarto, ictus, diabete, ipertensione ecc. La diminuzione del rischio relativo è generalmente del 5-25%, e dipende dalla natura della malattia e dalla quantità di consumo: maggiore è quest’ultimo e maggiore è la protezione.
Si parla di un’efficacia per nulla dissimile da quella di molte comuni terapie farmacologiche (come quelle anti-colesterolo o anti-diabete). Per patologie lievi-moderate come queste appena citate, molto spesso il primo approccio è quello di migliorare il proprio stile di vita, e solo successivamente, nel caso questo non sia sufficiente, si passa all’utilizzo di farmaci. E in questo caso permane comunque la raccomandazione di seguire un determinato regime alimentare, non fumare e fare perlomeno una moderata attività fisica.
È interessante notare che, mentre i farmaci agiscono quasi solo su una malattia specifica, motivo per cui occorrono molti farmaci a seconda della patologia (uno per la pressione, uno per il diabete e così via), e sono quasi sempre accompagnati da effetti collaterali indesiderati, i prodotti integrali, così come altri alimenti funzionali (o functional foods), agiscono contemporaneamente su molte malattie! E per di più, lo fanno senza effetti collaterali, trattandosi di semplici alimenti (escludendo ovviamente le allergie e le intolleranze).
Da queste considerazioni si evince l’importanza che oggigiorno stanno avendo i prodotti integrali sul mercato, ed in particolare l’integrale vero, ovvero ottenuto dalla macinazione “tutto corpo” del chicco di cereale (contenente sia la crusca che il germe), anziché un generico prodotto ricostituito, molto spesso mancante proprio della parte germinale, la quale, per poter essere utilizzata, necessiterebbe di un trattamento termico specifico tale da preservarne e ulteriormente aumentarne la shelf-life.
È possibile migliorare ulteriormente l’apporto salutistico dell’integrale?
La risposta è sì, a patto che l’industria alimentare si focalizzi su una nuova frontiera, ovvero quella dei prodotti a basso indice e carico glicemico. Già con i prodotti integrali è stato fatto un notevole passo avanti rispetto alle farine raffinate, ma la ricerca indica che occorre procedere oltre, producendo farine e sfarinati integrali, che per cultivar e trattamenti termici particolari, presentino e aumentino la quota di amilosio (circa il 20%), e riducano quella di amilopectina (circa l’80%). Tali percentuali andrebbero invertite, e questa caratteristica è naturalmente presente nei legumi. L’abbinamento cereale-legume, per esempio, non solo perfeziona l’apporto proteico, ma riduce anche l’indice e il carico glicemico.
Serve pertanto una spinta in più da parte delle istituzioni italiane ed europee nel favorire la ricerca dei prodotti integrali oltre che a basso indice e carico glicemico, attività che attualmente è lasciata quasi per intero al lavoro di poche aziende illuminate ed ai loro laboratori di ricerca e sviluppo.